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Roberto Bolaño – Notturno cileno

Perché l’ho letto? L’idea di recuperare le cose in ordine cronologico (e quindi cominciare con Gilgameš, per poi andare avanti con Iliade, Odissea e così via) mi è subito sembrata scoraggiante. Da un lato sapevo che avrei rinunciato subito se non avessi potuto alternare dei testi così antichi con qualcosa di più familiare. Per intenderci: la dittatura cilena mi è più familiare della guerra di Troia. Da un altro lato, sapevo che leggere Iliade e Odissea avrebbero potuto portarmi via dei mesi e, prima di arrivare a leggere cose del novecento sarebbero potuti passare anni in quel modo. Così, invece di irrigidirmi su quest’idea dell’ordine cronologico, ho deciso di alternare questa risalita dall’antichità con dei romanzi più o meno contemporanei. Il primo autore che mi è venuto in mente è stato Bolaño. Una persona che ha un blog che seguo aveva parlato di Notturno cileno come del libro più bello di questo autore e io gli ho creduto, e ho fatto bene.

La storia è quella di Urrutia Lacroix, un prete dell’Opus Dei e critico letterario attivo in Cile negli anni precedenti e contemporanei alla dittatura. In questa storia si incastonano però altre microstorie, come quella dell’incontro tra il poeta cileno Salvador Reyes e lo scrittore tedesco Ernst Jünger. Dal punto di vista narrativo, mi sembra interessante come, pur essendo il testo impostato come un lungo delirio del prete moribondo (l’attacco del romanzo è infatti: “adesso muoio, ma ho ancora molte cose da dire.“), Bolaño riesca ad entrare nel dettaglio anche per quanto riguarda le sensazioni di altri personaggi. Come fa? Nel caso di Reyes, per esempio, così: il narratore principale (il prete) ricorda di essere andato a una cena con Farewell (il suo mentore). A queste cena, incontrano il poeta Reyes e questi, sollecitato da Farewell, comincia a raccontare del suo incontro con Jünger a Parigi, avvenuto molti anni prima. E così, nel testo che leggiamo, il narratore si limita a ricordare le sensazioni che Reyes gli aveva confidato (un doppio salto della memoria: il prete ricorda, adesso, una cena dove Reyes ricordava, a sua volta, l’incontro con Jünger). Questo procedimento consente al narratore di descrivere con dettaglio maniacale anche avvenimenti e sensazioni non esperiti direttamente. Per esempio:

“(…) gli bastò pensare a questo perché la sua testa cominciasse a ronzare, come se ne uscissero centinaia di colicoli o di tafani, visibili unicamente attraverso una sensazione di caldo e di nausea, anche se la mansarda del guatemalteco non era esattamente un luogo caldo, e i tafani volavano davanti alle sue palpebre, trasparenti, come gocce di sudore con le ali (…)” (p. 44)

Grazie a questa tecnica, è come se Notturno cileno fosse allo stesso tempo un romanzo in prima persona e in terza persona. O meglio: il narratore principale varia da essere limitato, non-onniscente (quando incontra Pinochet, o i due minacciosi personaggi Oido i Odeim, Urrutia Lacroix non ha idea di cosa passi loro per la testa) a essere apparentemente a conoscenza di ogni singola sensazione di altri personaggi (quelli che gli hanno raccontato la propria storia, come nell’episodio appena citato fa Salvador Reyes).

Ovviamente, non è per niente sicuro che le parole ricordate dal prete nel suo delirio siano quelle pronunciate alla cena da Reyes anni prima. Anzi, è quasi scontato che Urrutia Lacroix, in preda alla febbre, le ricordi male, le corrompa, le confonda con le proprie sensazioni. Questo però non disturba minimamente l’effetto provocato sul lettore (o almeno, su di me): di essere lì, nella testa di Reyes, nella mansarda parigina di un pittore guatemalteco, in compagnia di uno scrittore tedesco.

Non so se questo sia il libro più bello di Bolaño. Di classifiche cerco di non farne. Vale la pena leggerlo, però, soprattutto se si vuole leggere qualcosa di questo autore e si è intimoriti di fronte ai suoi romanzi più voluminosi.


Roberto Bolaño, Notturno cileno. Traduzione di Angelo Morino. Disponibile, come tutti i libri discussi qui, alla biblioteca pubblica di Casalecchio di Reno.